L’ economia civile è una tradizione di pensiero economico che affonda le sue radici nell’umanesimo civile del Quattrocento e che è continuata, con alterni successi, fino al periodo d’oro dell’illuminismo italiano di scuola sia milanese (Pietro Verri, Cesare Beccaria) sia napoletana (Antonio Genovesi, Ferdinando Galiani).

Per capire ciò di cui si tratta, si considerino le due visioni, oggi prevalenti, circa il modo di concepire il rapporto tra la sfera economica (che possiamo sinteticamente, e con accezione ampia del termine, chiamare mercato) e la sfera del sociale (la solidarietà).

Da una parte vi sono coloro che vedono nell’estensione dei mercati e della logica dell’efficienza la soluzione a tutti i mali sociali; dall’altra chi invece vede l’avanzare dei mercati come una «desertificazione» della società e quindi cerca di proteggersi.

La concezione del rapporto mercato-società tipica dell’economia civile si colloca in una prospettiva radicalmente diversa rispetto alle due oggi dominanti.

L’idea centrale (e di conseguenza la proposta) dell’economia civile è quella di vivere l’esperienza della socialità umana all’interno di una normale vita economica, né a lato, né prima, né dopo.

In tal modo si supera la prima visione, che vede l’economico come luogo eticamente neutrale basato unicamente sul principio dello scambio di equivalenti, poiché è il momento economico stesso che, in base alla presenza o assenza di questi altri principi, diventa civile o in-civile.

Ma si va oltre anche rispetto all’altra concezione, che vede il dono e la reciprocità come appannaggio di altri momenti o sfere della vita sociale, una visione questa che non è più sostenibile.

E ciò per almeno due ragioni.

Primo, in mercati globalizzati la logica dei «due tempi» (prima le imprese producono e poi lo «stato» si occupa del sociale), su cui è fondato il rapporto tra economia e società (si pensi al welfare state), non funziona più, perché è venuto meno l’elemento base di quella visione, e cioè il nesso stretto tra ricchezza e territorio, su cui tutto il sistema sociale era stato pensato in Occidente, e in Europa in modo particolare.

Secondo, l’effetto «spiazzamento». Se il mercato e, più in generale, l’economia diventano solo scambio strumentale, si entra in uno dei paradossi più preoccupanti della nostra epoca.

Lo scambio basato solo sui prezzi, solo sul contratto strumentale, scaccia altre forme di rapporti umani. Così il mercato − se è solo questo −, sviluppandosi, «erode» la condizione del suo stesso esistere (cioè la fiducia e la propensione a cooperare).

Le società umane hanno bisogno di tre principi autonomi per potersi sviluppare in modo armonico ed essere quindi capaci di futuro:

  • lo scambio di equivalenti,
  • la redistribuzione della ricchezza,
  • la reciprocità.

Cosa succede, infatti, quando uno dei tre principi viene meno?

Se si elimina la reciprocità si ha il sistema economico del welfare state del dopoguerra di marca inglese (Beveridge e Keynes). Il centro del sistema è lo stato benevolente. C’è il mercato che produce con efficienza e c’è lo Stato che ridistribuisce secondo equità quanto il mercato ha prodotto.

Se si elimina la redistribuzione, ecco il modello del capitalismo caritatevole. Il mercato è la leva del sistema e deve essere lasciato libero di agire senza intralci, come insegna il neoliberismo. In questo modo il mercato produce ricchezza e i «ricchi» fanno «la carità» ai poveri, «utilizzando» la società civile e le sue organizzazioni (le charities e le foundations).

Infine, l’eliminazione dello scambio di equivalenti produce i collettivismi e comunitarismi di ieri e di oggi, dove si vive volendo fare a meno della logica del contratto (anche a costo di inefficienze e sprechi). La storia finora ci ha insegnato che solo piccole comunità riescono a svilupparsi senza questo principio.

Ebbene, l’idea centrale dell’economia civile è di mirare a un modello di ordine sociale nel quale tutti e tre i principi possano coesistere simultaneamente e così rinforzarsi a vicenda.

Stefano Zamagni, Enciclopedia di Economia – voce “Economia civile”, Garzanti